Vivere con un'adolescente ADHD
Polemiche, scontri ed emotività labile: si può sopravvivere a un'adolescente ADHD?
La mia adolescenza è stata piuttosto burrascosa, sebbene io l’abbia passata tra chiesa, oratorio e scuola. Forse è stata proprio la rigida educazione cattolica a salvarmi, chi può dirlo. Sta di fatto che mi ricordo quegli anni pervasi da un desiderio costante di rivalsa, da emozioni che viravano dalla rabbia all’euforia, dalla paura di perdermi sempre qualcosa e dalla fame costante. E poi gli ormoni. Oddio, gli ormoni.
Quegli ormoni, oggi, mi ricordano che sono in pre-menopausa e che sono schiacciata tra i loro capricci e quelli degli ormoni di mia figlia pre-adolescente. Aggiungici l’ADHD e avrai uno scenario simil apocalittico.
Ma non sono ancora in menopausa e mia figlia non è ancora ufficialmente un’adolescente, quindi mi godo questo limbo in cui lei ha ancora dei tratti bambineschi e io tutto il collagene a tenermi su la faccia.
Ecco perché, per raccontare l’esperienza di un genitore di un’adolescente ADHD, avevo bisogno di una voce esterna.
Luca è il padre di una quattordicenne con ADHD e la sua storia è comune a molti papà e molte mamme i cui figli e figlie sono neurodivergenti. Una storia che personalmente mi ha commosso e in cui probabilmente vi riconoscerete.
Le difficoltà dell’ADHD nell’adolescenza
Luca è stato uno dei primi lettori e sostenitori di Atipiche. Mi ha contattato per confrontarsi sulle tematiche ADHD e per condividere le difficoltà riscontrate durante e dopo il percorso di diagnosi della figlia.
“Francesca ha ricevuto la diagnosi ADHD qualche mese fa”, mi ha spiegato. “Ci siamo rivolti all’azienda sanitaria della nostra provincia, ma prima di intraprendere l’iter per la diagnosi ADHD, Francesca ha fatto un anno di psicoterapia: la priorità, ci dissero, era il suo blocco emotivo, anche se si sospettava già che fosse ADHD”.
Se la gestione delle emozioni, in una persona ADHD, è un tasto dolente, provate a immaginare cosa può essere per un’adolescente ADHD. La disregolazione emotiva è una caratteristica comune a chi è neurodivergente. A volte, però, questa difficoltà a gestire e controllare le emozioni non è evidente al di fuori del nucleo familiare. “A scuola, tutto sommato, non ci sono grossi problemi”, continua Luca. “Mia figlia socializza e si trova bene, il rendimento scolastico è discreto e costante, anche se ha difficoltà di concentrazione. Il problema è a casa”.
“Qualsiasi cosa le diciamo io e mia moglie, è un’esplosione di rabbia a prescindere. Dall’insistere per lavarsi i denti, a dirle di fare attenzione agli zuccheri: Francesca prende tutto come un attacco personale. Se le diciamo qualcosa per il suo bene, lei di default non ci crede. Se proviamo a mettere in dubbio le sue parole, perché spesso ci mente, esplode di rabbia. Se le dico ‘guarda che mangiare troppi zuccheri può avere conseguenze negative sulla tua salute’, lei mi dice che è una fake news. Oramai io e mia moglie l’assecondiamo, anche su consiglio della psicologa. A meno che non faccia qualcosa di pericoloso o illegale, in generale tendiamo a non opporci o polemizzare. Vuoi andare a studiare con le amiche e non in aula compiti? Va bene. Non credi a quello che ti dico sui sintomi ADHD? D’accordo, allora informati in autonomia. Insomma, è tutto molto faticoso”.
Mentre Luca mi racconta la fatica della quotidianità con sua figlia, mi sembra di vedere il film della mia vita: io e mio marito che lottiamo con nostro figlio per i compiti, per uscire di casa, per lavarsi i denti, per rimanere a tavola per più di cinque minuti. Il suo essere oppositivo è estenuante.
La cosa surreale è che si comporta così solo a casa. Quando raccontiamo di questi episodi oppositivi, insegnanti, parenti e amici sgranano gli occhi increduli e minimizzano: ma va’, impossibile. Chi, Alessandro? A scuola è perfetto. Eccelle, è educato, chiede compiti in più (questa è la più divertente, considerato che fatica a finire quelli assegnati per il week-end). E noi passiamo per due visionari incapaci di gestirlo. Mia mamma mi dice sempre: meglio in casa che fuori. Che sarà pure una consolazione, ma intanto io e mio marito ne usciamo pazzi.
Di genitori come me, Alberto e Luca ce ne sono a milioni in tutto il mondo. La maggior parte, probabilmente, nemmeno consapevoli di avere figli e figlie ADHD. Quando penso ai genitori di adolescenti ADHD mi immagino mamme e papà sconfortati e soli, che non sanno che pesci pigliare perché tanto ogni esperto dice tutto e il contrario di tutto, e nel frattempo a casa ci sono loro, con ragazzi scostanti, oppositivi e fuori controllo. Non c’è una bussola per orientarsi e, anche quando si trova un appiglio, si deve navigare a vista aspettando che il tempo, la psicoeducazione o il farmaco faccia il suo corso. Quando va bene, il farmaco. Perché siamo sempre alle solite: gli psicofarmaci sono l’elefante nella stanza.
Minori ADHD e farmaci
Stando al racconto e all’esperienza di Luca, Francesca sarebbe un’adolescente ADHD da manuale: atteggiamento oppositivo, disregolazione emotiva da vendere, problemi a riconoscere l’autorità dell’adulto, difficoltà di concentrazione. Ultimo, ma non per importanza, ha un DSA – disturbo specifico dell’apprendimento – certificato. È uno dei disturbi del neurosviluppo che spesso si accompagna all’ADHD.
Con queste premesse, i presupposti per il trattamento farmaceutico ci sarebbero tutti. Ma non sono un medico, quindi non sta a me dirlo. Quel che però sembra, è che ci sia ancora molta riluttanza nel trattare l’ADHD con gli psicofarmaci.
Lo conferma anche Luca: “L’ASP (Azienda Sanitaria Provinciale, ndr) dove abbiamo fatto il percorso diagnostico ha 4 mesi di attesa per l’iter di somministrazione del farmaco (il metilfenidato, ndr). Io e mia moglie ci siamo quindi rivolti alla neuropsichiatria infantile di un importante ospedale per capire se si potevano accorciare le attese. Ci siamo detti: la diagnosi c’è già, dovrebbe essere tutto più veloce. E invece no: ci hanno detto che non escludono a priori la somministrazione del farmaco, ma vogliono fare prima degli accertamenti, rifare alcuni test e lavorare con Francesca sulla parte emotiva. Ma io mi dico, se c’è già una diagnosi, perché aspettare?”.
Bella domanda. Verrebbe da dire che molti stereotipi sugli psicofarmaci sono duri a morire, anche tra chi quei medicinali potrebbe e dovrebbe prescriverli.
La fatica di essere mamma e papà di un’adolescente ADHD
“Quando abbiamo fatto la diagnosi ADHD, la psicologa ci disse una cosa che ritengo molto importante: prima si fa il percorso diagnostico, meglio è”, continua Luca. Francesca ha già 14 anni, alcune disfunzionalità dell’ADHD sono più difficili da recuperare. Certo, non impossibili. “Ci disse che le diagnosi ADHD si dovrebbero fare già all'età di 7-9 anni, così da iniziare la terapia farmacologica (oltre a quella cognitivo-comportamentale) a quell'età, e permettere al minore di avere circa 10 anni di tempo, fino al compimento della maggiore età, per "normalizzare" la disregolazione emotiva e permettere l'adozione di un modello di vita strutturato con il quale proseguire con meno difficoltà”.
A questo punto del racconto, la voce di Luca si fa sottile e gli si spezza in gola. “Come genitore arrivi al punto di dirti ‘sbaglio questo, sbaglio quello, sbaglio quest’altra cosa’, e ti viene da piangere, perché qualsiasi cosa tu faccia o dica trovi sempre la sua opposizione dall’altra parte. A volte io e mia moglie piangiamo non solo perché siamo stanchi, ma perché desideriamo un bacio da nostra figlia. Un abbraccio. Capito come siamo combinati?”.
La fatica dei genitori di ADHD è una fatica doppia, raramente supportata dalle istituzioni. Il parent-training, in tal senso, è la prima soluzione utile e pratica per fornire supporto, ma è ancora una pratica poco diffusa e ad appannaggio di realtà private. In quelle pubbliche viene offerto come servizio solo dopo la presa in carico, che spesso richiede mesi, se non anni, di attesa.
Nel frattempo si naviga a vista e si impara dalle esperienze degli altri cercando di fare rete. Quella rete di cui genitori come Luca e sua moglie avrebbero un disperato bisogno. Quel sostegno che permette di non sentirsi soli e che eviterebbe di sentirsi rispondere, alla domanda “come stai? Come state?”: “Non stiamo bene. Non stiamo bene io e mia moglie e non sta bene Francesca”.
Luca, per quel che vale, la piccola comunità di Atipiche è qui anche per voi.
🛠️ Tips wow – Strumenti: orologi analogici
È spesso uno strumento sottovalutato, eppure è salvifico sotto molti punti di vista. L’orologio analogico (da polso, da taschino, da tasca, quello che vi pare) è quell’oggetto che ti permette di tenere sotto controllo il tempo senza soccombere alle distrazioni costanti di smartphone e smartwatch.
Controllare l’ora con accessori analogici ha il vantaggio di evitare trigger, input e pensieri intrusivi che invece gli strumenti digitali continuano a inviare. Se controllo l’ora sul telefono, inevitabilmente vedrò le notifiche e, pure se le ho disattivate, in meno di due secondi sarò su whatsapp o Instagram senza rendermene conto.
Lo smartwatch forse è ancora peggio, perché l’ora è un mero pretesto per venderti altro: messaggistica a portata di polso, pulsazioni, conta passi e altre distrazione spacciate per salutistiche.
Come tutte le figlie degli anni ‘80, sono sempre stata grande fan degli Swatch e degli Hip Hop. Ancora adesso provo una sorta di venerazione per quegli oggetti colorati e plasticosi. Tuttavia, c’è stato un lungo periodo in cui ho smesso di portare l’orologio da polso ed è coinciso con l’arrivo del primo smartphone. Quando anni dopo ho ripreso l’abitudine di indossarlo, la domanda che mi posi fu banalmente: perché mai ho smesso di metterlo?
📖 Dizionario divergente
Ogni settimana scegliamo una parola che racconta il mondo Atipiche.
Parent-training: non è un vocabolo ad uso esclusivo del mondo neurodivergente, ma è molto importante conoscerlo e sapere che esiste. Il parent-training è, letteralmente, un allenamento per genitori di bambinə e ragazzə con disturbi del neurosviluppo, una sorta di coaching per mamme e papà il cui scopo è quello di fornire strategie di sopravvivenza e convivenza per tutta la famiglia.
Il parent-training è un percorso formativo che insegna ai genitori a capire cos’è l’ADHD e come conviverci in serenità. Solitamente è tenuto da psicologi e psichiatri specializzati, ma iniziano a diffondersi anche consulenze e percorsi parentali da parte di coach dell’ADHD.