ADHD e psicofarmaci, l'elefante nella stanza
Tuttə ne parlano a sproposito, in pochə li conoscono sul serio.
Iniziamo con un bel coming out: prendo antidepressivi da sette anni e il metilfenidato da poco più di un anno.
Scoprire le carte così, pubblicamente, credo possa aiutare a demitizzare gli psicofarmaci, su cui circolano leggende che in confronto il Gruffalò sembra vero. Ed è proprio questo lo scopo di Atipiche di questa settimana: sfatare i miti e far parlare la scienza, unico faro che dovrebbe guidare tuttə quando si parla di trattamenti farmacologici.
Partiamo da un assunto che trovo lapalassiano per la sua ovvietà: quando si sta male ed esistono trattamenti farmacologici per quel male, si prensono le medicine. Nessunə si fa grossi problemi ad assumere antibiotici o cardioaspirine: il medico prescrive il farmaco e lo si prende senza fare troppe storie (a meno che tu sia come mio figlio, allora devi essere immobilizzato da due persone per prendere anche solo lo sciroppo per la tosse). Se sono ipertesa toccherà prendere la pillola per la pressione, se soffro di depressione prenderò un antidepressivo.
Il principio è che la salute mentale è importante tanto quanto quella fisica e spesso le due cose sono interconnesse: se il corpo sta male, anche il cervello ne risentirà e viceversa, se sussistono patologie neuro-psicologiche, l’organismo somatizzerà nei modi più disparati. Se avessi dovuto trattare i miei disturbi gastro-intestinali come una malattia a sé stante e non legata all’ansia, avrei iniziato una serie infinita di accertamenti ed esami diagnostici non necessari.
Certo, è fondamentale escludere cause organiche, quando si manifesta un problema fisico, ma è altrettanto importante fermarsi per osservare quel fastidio e contestualizzarlo con il proprio vissuto. Possibilmente con l’aiuto di medici e psicologhe.
Trattamento farmacologico dell’ADHD: dove, come, quando e perché
Per parlare di questi temi senza scrivere idiozie, ho intervistato Stefano Bramante, medico psichiatra specializzato in ADHD e autore, insieme a Lorenzo Massucco, del podcast Brain on Fire, di cui raccomando vivamente l’ascolto.
Nel caso dell’ADHD, il trattamento farmacologico non è obbligatorio. Lo spiega bene il dottor Bramante: “L'approccio all’ADHD è un approccio multimodale: vuol dire che noi abbiamo diverse possibilità di intervento e la terapia farmacologica è una di queste possibilità di intervento. Tra le altre vi sono gli interventi psicologici prevalentemente di tipo cognitivo comportamentale e interventi come la psicoeducazione, che può essere rivolta al paziente in modalità singola, in modalità di gruppo o anche coinvolgendo familiari e partner”.
“La terapia farmacologica nell’ADHD è uno strumento incredibilmente utile”, prosegue il dottor Bramante, “perché in tutta la psichiatria, e in tutta la medicina, non esistono farmaci con tassi di efficacia così alti. Questa è un'informazione molto importante, perché dà l'idea di quanto possano essere potenti questi strumenti se utilizzati bene. Utilizzati bene vuol dire che al trattamento si arriva dopo una valutazione che deve essere fatta bene”.
ADHD e altre scocciature associate
Se il trattamento farmacologico per l’ADHD funziona così bene, perché continuo a prendere anche l’antidepressivo? mi direte. Me lo sono chiesto pure io, che solo di recente ho fatto pace con gli psicofarmaci. Per iniziare con gli antidepressivi ho impiegato un anno.
Un anno di rifiuto e malessere profondo, in cui non mi sono mossa dalla convinzione che i farmaci per la salute mentale fossero roba da “matti”, un pericoloso strumento a rischio dipendenza, un’ammissione vergognosa di aiuto che non potevo permettermi.
Bastava già la psicologa, figuriamoci se mi serviva l’aiutino farmacologico.
Finché ho ceduto, piegata dalla depressione e prostrata dalla fatica di vivere le mie giornate in preda all’angoscia e agli attacchi di panico. Stavo talmente male, che dal giorno uno della terapia, ho iniziato a vedere il mondo a colori.
Oltre ad avere carenze dopaminiche a causa dell’ADHD, ho scoperto di avere una carenza di serotonina importante, che mi causa un disturbo dell’umore e altre scocciature che non sto a raccontarvi.
Morale: sì, continuo a prendere anche l’antidepressivo perché mi fa stare bene. E no, non crea dipendenza, tant’è che spesso mi dimentico di prenderlo.
Sarebbe cambiato qualcosa se mi avessero diagnosticato prima l’ADHD della depressione? In termini di trattamento farmacologico no, perché prima si tratta la patologia associata e solo dopo l’ADHD.
L’ho scoperto con sollievo ascoltando il podcast del dottor Bramante, che conferma quanto il disturbo da deficit dell’attenzione si presenti spesso in comorbidità con patologie psichiatriche: “Noi sappiamo, se parliamo di disturbo da deficit dell’attenzione nell'adulto, che la norma non è un adulto che ha l’ADHD e basta. La norma è l'adulto che è ADHD e che ha almeno altre tre condizioni associate, che sono, a seconda un po' delle caratteristiche dell’ADHD, nelle donne i disturbi dell'ansia, i disturbi dell'umore, i disturbi alimentari; negli uomini i disturbi da abuso di sostanze, i disturbi di personalità e i disturbi depressivi”.
“Essendo dei quadri complessi in cui la ADHD si associa ad altre condizioni presenti”, spiega Bramante, “nel momento in cui noi trattiamo il nostro paziente dobbiamo sapere che, se c'è un'altra condizione presente, dobbiamo prima occuparci di quella. Quindi, se io ho un paziente che ha un disturbo d'ansia attivo o ha un disturbo dell'umore attivo, dovrò prima occuparmi della terapia farmacologica o psicologica di quel problema, che nel caso dei disturbi d'ansia prevede l'utilizzo di antidepressivi di nuova generazione, che agiscono sul sistema della serotonina. Trattata la depressione e il disturbo d'ansia, a quel punto mi posso occupare della terapia farmacologica per l’ADHD”.
E perché non si parte col farmaco per l’ADHD? “Perché se sei una persona molto ansiosa e io prescrivo la terapia farmacologica per la ADHD, peggiorerò l'ansia o peggiorerò l'umore se abbiamo un episodio depressivo in corso. Quindi devo prima stabilizzare l'ansia e l'umore e poi inserisco la terapia farmacologica per la ADHD”.
Metilfenidato, lov u
Per gli amici, Ritalin o Medikinet, per gli esperti metilfenidato: vi presento il farmaco per il trattamento del’ADHD attualmente disponibile in Italia. Chiedo al dottor Bramante di spiegarci come agisce questo farmaco e cosa fa.
“Aumenta la trasmissione della dopamina in certe aree del cervello. Le persone ADHD in alcune aree del cervello hanno una trasmissione di dopamina più bassa rispetto alle persone con un funzionamento neurotipico: con il farmaco la trasmissione di dopamina aumenta e quindi, per un certo numero di ore, la persona sperimenta una riduzione dei sintomi di ADHD”.

“L’ADHD”, ci ricorda Bramante, “non è una malattia. L’ADHD non è una patologia. L’ADHD è un particolare modo di funzionare di una fetta piccola, ma non così tanto piccola, della popolazione generale”.
Ora, una potrebbe chiedersi: ma se questa neurodivergenza non è una malattia, a cosa serve il trattamento farmacologico? “Con il farmaco è come se dessimo una borraccia in più quando uno cammina in salita, una stampella se una ha male alla gamba, cioè diamo la possibilità alla persona di funzionare per un certo periodo di tempo con meno fatica per un certo numero di ore. A seconda del tipo di metilfenidato che scegliamo, il numero di ore cambia: nelle formulazioni di metilfenidato a rilascio immediato, come il Ritalin, parliamo di 2 o 3 ore, nelle formulazioni a rilascio prolungato, come il Medikinet, si parla di un lasso di tempo più variabile, di solito 6-8 ore”.
Prova a prendermi
“Il metilfenidato è un farmaco molto particolare”, prosegue Bramante, “perché di fatto è uno stimolante. È un farmaco che richiede il ricettario in triplice copia per gli stupefacenti, ha delle modalità di prescrizione e una burocrazia che spesso spaventano moltissimo: i medici che li devono prescrivere, i farmacisti che richiedono le ricette e anche i pazienti stessi, perché quando io dico a un paziente che gli devo prescrivere un farmaco con il ricettario per gli stupefacenti, giustamente il paziente si agita. Fa parte del nostro lavoro saper comunicare le informazioni corrette ai pazienti e contenere le eventuali agitazioni”.
Di solito la gente comprende quando spieghiamo che è un farmaco con altissimi tassi di efficacia, che lo prescriviamo a tantissime persone e che addirittura li diamo ai bambini di elementari e medie quando ne hanno bisogno. Si spiega quali possono essere gli effetti collaterali e se i pazienti sono seguiti bene non c'è nessun problema”.
Però, di problemi ce ne sono. In farmacia.
Lo psichiatra me lo aveva anticipato: potresti avere difficoltà a reperire il farmaco. Così è stato: alcune farmacie semplicemente si rifiutano di procurartelo, altre ci provano ma si fanno scoraggiare dalla burocrazia, qualcuna te lo procura ma solo dopo aver chiamato il tuo medico curante, aver preso i dati del tuo documento di identità, il tuo numero di telefono e averti sottoposto millemila domande.
“C'è questo allarme generale incredibile che ha portato tutti noi che ci occupiamo di ADHD – che siamo pochi – a creare un sistema di farmacie ADHD friendly, cioè quelle farmacie sul territorio nazionale che non trattano i nostri pazienti come se fossero dei tossicodipendenti o anche solo che rispettano la loro privacy”.
Effetti benefici dei farmaci per l’ADHD
“Il metilfenidato non funziona solo sui sintomi tipici dell’ADHD”, dice il dottor Bramante, “quelli che siamo abituati a pensare come sintomi classici quali iperattività, disattenzione e impulsività, ma aiuta tantissimo con la disregolazione emotiva, a gestire gli scoppi di rabbia e a essere più in controllo delle emozioni. Il farmaco aiuta anche a controllare la tendenza ad abbuffarsi, a regolare il ritmo sonno-veglia, ad avere livelli di energia più costanti. Moltissime pazienti ADHD hanno sindromi da dolore cronico, come fibriomalgia e emicranie, e il metilfenidato permette loro di stancarsi meno facilmente. Come tutti i farmaci, anche il metilfenidato ha dei possibili effetti collaterali: gli unici degni di nota sul lungo termine sono un lieve aumento della pressione arteriosa, che basta monitorare, e una possibile riduzione dell’appetito. Una volta che il medico ha valutato la necessità di prescrivere il farmaco, potrebbe richiedere un elettrocardiogramma e un elettroencefalogramma per valutare se il paziente è un candidato idoneo o meno all’assunzione del farmaco. Ci sono pazienti che prendono la terapia sempre, pazienti che prendono la terapia al bisogno, pazienti che non la prendono perché bastano la psicoeducazione e gli interventi psicoterapici”.
Il farmaco per l’ADHD non è un obbligo. È una possibilità utile in un mare magnun neurodivergente, che ha come faro le associazioni che offrono supporto, informazione, formazione e ascolto a chi è ADHD o è un familiare di una persona ADHD.
Per ulteriori informazioni puoi rivolgerti a ADHD Italia: coordinamento associazioni ADHD o Rete Italiana ADHD.
🛠️ Tips wow – Strumenti: la teoria dei cucchiai
La teoria dei cucchiai è una strategia ideata da Christine Miserandino per spiegare le difficoltà quotidiane di chi soffre di malattie croniche. Pur non soffrendo di alcuna malattia cronica, ho iniziato ad applicarla nella mia quotidianità per dosare - letteralmente - i miei livelli di energia ed evitare episodi di burnout, attacchi di panico e stanchezza estrema. Perché chi è ADHD lo sa: la stanchezza che si prova è più simile alla prostrazione, che a una tipica stanchezza da fine giornata.
Come funziona? Immagina di avere a disposizione per ogni giornata 12 cucchiai. Ogni attività richiede uno o più cucchiai, a seconda di quanta energia mentale e fisica ti assorbe quella data attività. Ad esempio, cucinare mi porta via 1 cucchiaio, fare una seduta di psicoterapia 1 cucchiaio, fare una riunione di lavoro 2 cucchiai. Se faccio tutte queste attività insieme in una sola mattinata, significa che avrò a disposizione solo 8 cucchiai per tutto il resto della giornata, che di solito include figli, lavoro, palestra, burocrazia, relazioni sociali, più varie ed eventuali.
Questo nella migliore delle ipotesi, perché non è detto che ci si svegli la mattina sempre con 12 cucchiai a disposizione. Può capitare di averne solo 7, perché si è particolarmente stanche, o 5, perché si sta male.
Il punto è capire quali sono le attività che richiedono più cucchiai e organizzarsi le giornate di modo da non arrivare senza cucchiai a fine giornata, se non addirittura dopo pranzo. Non è facile - del resto nulla lo è quando si parla di ADHD - ma basta prenderci la mano per apprezzarne i benefici.
📖 Dizionario divergente
Ogni settimana scegliamo una parola che racconta il mondo Atipiche.
Disregolazione emotiva: è la difficoltà nel gestire e modulare le risposte emotive in modo appropriato al contesto. Chi ne soffre percepisce la mancanza di controllo delle proprie emozioni e delle proprie reazioni. La disregolazione emotiva si riscontra di frequente nelle persone ADHD, ma anche nelle persone ad alto potenziale cognitivo e autistiche.
Per questo venerdì è tutto: se hai tenuto botta fino a qui, grazie! Apprezzo molto il tuo sostegno.
Un abbraccio
Anna
Apprezzo molto queste spiegazioni e questo approfondimento di una questione spesso trattata con superficialità. Tutto ciò però è deprimente: siamo un complicato ammasso di circuiti che funziona bene o male a seconda degli additivi presenti naturalmente o artificialmente. Dov'è la mente, oltre ai circuiti? Come si fa a parlare di vita oltre la morte se la nostra anima altro non è che il risultato di attività chimico-elettrica?
Cara Anna, rinnovo i miei complimenti per la tua NL. Hai trattato il tema dei farmaci in modo egregio (ti parlo da laureata in CTF). L’assunto numero uno è che i farmaci vanno presi quando servono. Il numero due è: se esistono i farmaci per trattare una determinata patologia e questi non vengono presi, allora quella patologia è alla stregua di una patologia incurabile… Che senso ha il progresso se non a migliorare la condizione sul pianeta? Un abbraccio e buon San Valentino 🧡