
La mia psico me lo ripete come un mantra: bisogna connettersi con noi stessə. Siamo una generazione sconnessa dal nostro io interiore e perennemente connessa a quello che ci circonda, dice. Come darle torto?
Fino a qualche anno fa non sapevo neanche dare un nome alle emozioni. Già la parola stessa mi dava sui nervi: roba da romance, non da vita vera. Io devo fare cose, mica ho il tempo di dare un nome a quello che provo. Fino a che ci ho sbattuto contro, alle emozioni. E ben due psicologhe mi hanno costretto negli anni a farci i conti.
È successo, quindi, che a un certo punto ho scoperto l’educazione emotiva. Prima con i miei figli e poi in solitaria. Perché orientarsi nel labirinto emozionale è una capacità che richiede tempo, pazienza e una buona dose di introspezione. Dopo la diagnosi, dare un nome alle emozioni è diventato per me ancora più importante.
ADHD e disregolazione emotiva
Uno dei sintomi nucleari dell’ADHD è la disregolazione emotiva, che non è una caratteristica esclusiva del disturbo da deficit dell’attenzione, ma di certo una delle più fastidiose. Che cos’è la disregolazione emotiva? La difficoltà a regolare e controllare le emozioni, repentini cambi di umore, elevata irritabilità, difficoltà di calmarsi, esplosioni di rabbia improvvise.
Quello che caratterizza la disregolazione emotiva è la velocità con cui un’emozione irrompe, che è inversamente proporzionale alla sua scomparsa. Mi spiego: capita di arrabbiarmi furiosamente e improvvisamente per qualcosa che, agli occhi degli altri, è una piccolezza e di metterci ore a sbollire. Quando succede devo isolarmi, cambiare stanza, uscire. Devo avere il tempo non solo di tranquillizzarmi, ma di capire cosa esattamente mi ha fatto infuriare e perché. Non è scontato, per una persona neurodivergente, capire cosa faccia scattare la molla della rabbia.
Allo stesso modo, gioia ed entusiasmo possono manifestarsi dal nulla per cose al limite del ridicolo. Mi capita spesso quando ascolto le canzoni e mi immagino di ballarne le coreografie. Sono le volte in cui mi domando perché non viviamo dentro a un musical. In La La Land è tutto più facile, anche rompere una relazione idilliaca con Ryan Gosling.
Insomma, la disregolazione emotiva ci rende agli occhi delle persone neurotipiche difficilmente gestibili. Perché, diciamocelo, non è facile avere a che fare con noialtrə. Di solito siamo quellə con un brutto carattere, troppo sensibilə, fuori controllo, volubili, nevrotiche, lunatiche. Da piccola esprimevo le emozioni come rabbia e frustrazione unicamente col pianto. Mi chiamavano frignona. Per una vita mi sono sentita come quella incapace di controllarmi e bravissima a fuggire. Letteralmente: la classica sequenza che si ripeteva in loop era risposta brusca, magone, fuga in camera con porta sbattuta, pianto a singhiozzi, faccia nel cuscino per non urlare, invettive contro questo mondo crudele. Cala il sipario.
Va detto che i programmi didattici degli anni ‘80-’90 non prevedevano l’educazione emotiva, e ancor meno il lessico familiare dei tempi contemplava un dialogo aperto sui massimi sistemi interiori. Il dibattito pubblico sulle emozioni è piuttosto recente, portato in auge dalla stessa multinazionale che ci ha cresciuto a suon di stereotipi e principesse e poi ha sfornato Inside Out, un brillante film di animazione che dà una voce - e pure dei colori - alle emozioni.
E vediamole, quindi, quali sono queste emozioni, perché è importante dare un nome a quello che proviamo, se vogliamo imparare conviverci senza psicodrammi.
Le emozioni primarie e secondarie
Secondo la teoria di Paul Ekman, psicologo statunitense che le ha studiate sul campo come un antropologo, le emozioni primarie sono universali e riconosciute in tutte le culture. In altre parole, non c’è persona al mondo che non provi una di queste emozioni: gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto e sorpresa.
Ci sono poi le emozioni secondarie, dette anche derivate o complesse, che possono subire l’influenza del contesto sociale e dipendere dall’esperienza. Fanno comunque capo alle emozioni primarie.
Gioia —> felicità, contentezza, euforia
Tristezza —> melanconia, dolore, sconforto
Paura —> ansia, terrore, apprensione
Rabbia —> frustrazione, irritazione, indignazione
Disgusto (repulsione, avversione, nausea)
Sorpresa —> stupore, meraviglia, shock
Vi è poi una suddivisione in emozioni riconosciute universalmente come positive e negative. Un esempio facile? La gioia è bella, la rabbia no. Quello che insegnano psicoterapia e psicoeducazione è di non giudicare le emozioni, soprattutto quelle negative. Dire a una bambina “non piangere” o “non essere triste” è dannoso quasi quanto crescere col mito del principe azzurro, perché equivale a negare quell’emozione. E noi siamo qui per riconoscerle e dare loro un nome. Reprimerle, tentare di scacciarle o fare finta che non esistano è come cercare di svuotare il mare con un secchiello.
Emozioni scomode
Riconoscere e fare spazio alle emozioni non vuol dire nemmeno auto legittimarsi a lanciare piatti quando si è arrabbiatə. Significa vederle, dare loro un nome e capire da dove arrivano. Spesso mi sono ritrovata ad essere invidiosa. Per una persona ADHD l’erba del vicino non solo è sempre più verde, equivale a una specie di giardino botanico meraviglioso e inarrivabile. Ci capita spesso di provare invidia, perché abbiamo l’autostima di una formica e la sindrome perenne dell’impostore. Ecco, l’invidia la trovo proprio scomoda. Mi fa sentire puerile, insoddisfatta e ingrata. Quando mi rendo conto di provarla, mi fermo e faccio un elenco dei pro e dei contro di quell’invidia. Serve a farmela passare? Non sempre, ma mette un’emozione in prospettiva e mi evita di prendere decisioni avventate.
Perché quello che nessuno dice è che la disregolazione emotiva ha un impatto notevole su chi la subisce. Per le persone ADHD si traduce in un meccanismo tutto/nulla che può avere conseguenze nefaste su rapporti sociali, lavorativi, amicali e affettivi. Se poi si abbina all’impulsività, è un attimo arrivare a conclusioni affrettate (per lo più sbagliate). L’irritabilità, i cambi improvvisi di umore e le reazioni brusche che accompagnano la disregolazione emotiva sono difficili da capire e da gestire per chiunque, non solo per chi ha un cervello neurotipico. Chi vive accanto a noi spesso ha la sensazione di trovarsi su una montagna russa emozionale.
È una fatica costante e doppia, perché anche chi è ADHD soffre delle conseguenze della propria disregolazione emotiva. Vorremmo essere in controllo delle nostre emozioni, ma ci riesce davvero poco e male. È come se non avessimo gli strumenti per decodificare il nostro stesso linguaggio emotivo. E poi siamo terrorizzatə dalle critiche e dal rifiuto, il che ci porta a isolarci e chiuderci, anziché uscire allo scoperto e affrontare i nostri mostri.
Vorrei dire che il lieto fine è facile e scontato come in un film di animazione: dai, alla fine si risolve tutto. Che poi magari è anche vero. Io amo i lieti fine e le storie di redenzione. La verità è che per noi ADHD la gestione delle emozioni è più simile a La La Land: si balla, si piroetta, si canta, spesso si cade, e poi magari ci si lascia. Di certo non ci si annoia.
🛠️ Tips wow – Strumenti: podcast
Procrastiniamo per natura, lo sappiamo. A volte basta una strategia su misura per ovviare all’insostenibile noia delle incombenze quotidiane. Ho scoperto che trovo insopportabile camminare senza qualcosa da ascoltare. Dici, a 47 anni ci sei arrivata? Cosa vi devo dire, l’ADHD è una continua scoperta.
Ascolto podcast quando stiro, musica quando vado in palestra, radio quando sono in treno, ma mentre cammino da sola per andare in ufficio mai nulla. Infatti il tragitto mi pesa quanto una maratona. Il punto è: se dovete fare qualcosa che vi annoia, dai mestieri di casa alla burocrazia, mettete le cuffie e ascoltate podcast o audiolibri. Purché non vi distraggano da quello che dovete fare. Qui i miei podcast preferiti finora:
10e25 - La vera storia dietro alla strage di Bologna: un podcast di Gabriele Cruciata e Dario De Santis, prodotto da Slow News, è gratis per tuttə e senza pubblicità. Se amate il crime, qui siamo a un livello successivo. Cosa e chi c’è dietro all’attentato del 2 agosto alla stazione di Bologna? Vi terrà appesə e angosciate per sei puntate fino a chiedervi: quando esce la settima puntata?
È solo sesso: un podcast di Chora Media, scritto e raccontato da Valeria Montebello, che parla di dating, slang di coppia, app di incontri e sventure relazionali. In poche parole, della vita sessuale di uomini e donne single ai giorni nostri. Utile se avete figli e figlie teenager o siete reduci da una separazione e volete ributtarvi nella mischia ma siete disorientatə.
Brain on fire, il podcast sull’ADHD: prodotto e distribuito dall’associazione ADHD Piemonte Famiglie Associate ODV, è scritto e interpretato dal dottor Stefano Bramante (che ho intervistato) e Lorenzo Massucco. Podcast che parla di ADHD, comorbidità e metilfenidato con estrema delicatezza e competenza.
Morgana: podcast di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, conta 54 episodi e altrettante storie di donne. Non sempre edificanti, di certo eccezionali. Tra le morgane protagoniste: le sorelle Wachowski, Stephen King (una delle poche eccezioni maschili), Zaha Hadid, Pippi calze lunghe, Cher, Margaret Atwood.
📖 Dizionario divergente
Ogni settimana scegliamo una parola che racconta il mondo Atipiche.
Iperattività: caratteristica nucleare del disturbo da deficit dell’attenzione, nelle persone ADHD si manifesta con un’eccessiva tendenza al movimento (agitarsi sulla sedia, muovere di continuo mani e piedi, mangiarsi le unghie), difficoltà a rimanere in silenzio troppo a lungo, eloquio eccessivo (logorrea), inquietudine.
Grazie per aver letto fin qui, a venerdì prossimo.
Anna
ho avuto da poco la mia diagnosi, ma già da prima leggevo ogni singola puntata di questa newsletter! È utilissimo per me leggervi, soprattutto ora che sono all’inizio di questo percorso di conoscenza di me stessa. grazie! :)
Molto interessante leggere della fatica che una persona con ADHD può incontrare nella gestione delle emozioni. Mi ha colpito in particolare lo scatto d’ira improvviso che impiega ore a stemperarsi… dev’essere davvero difficile da gestire!
Mi ha intenerita il passaggio in cui si accosta la descrizione delle emozioni al genere romance. Io scrivo romanzi d’amore che non sono veri e propri romance (magari lo fossero: venderebbero molto di più!), e ti dirò… più che descrivere le emozioni, cerco di scavare in profondità nell’effetto che provocano sul corpo e nei pensieri che innescano, per far sì che il lettore possa immergersi completamente nell’esperienza emotiva. A questo proposito, trovo molto utile l’Atlante delle emozioni umane edito da UTET.
Mi permetto solo una piccola riflessione: forse, a volte, si rischia di sottovalutare i romanzi che mettono al centro i sentimenti, come se fossero un genere “minore”. Ma se — come giustamente dici nella newsletter — le emozioni sono così centrali nella vita di ciascuno, allora anche raccontarle in profondità, attraverso la narrativa, merita attenzione e rispetto. Lo dico con spirito di dialogo, perché credo molto nel valore di ciò che ci fa sentire.