Non riuscire a staccare mai il cervello, per una persona ADHD, è il leitmotiv di una vita. “Dovresti provare con la meditazione”, “per addormentarsi basta non pensare a niente”, “datti pace!” e il sempiterno “rilassati un po’!” sono i consigli non richiesti che chi ci circonda, siano essi neurotipici o neurodivergenti, ci propina a ogni cambio stagione. Come se l’essere ADHD, quindi mai ferme, fosse una questione di intenti e volontà: sei tu che non riesci a fermare il criceto che hai nella testa. Basta usare gli strumenti giusti: qualche ohm, un paio di respiri profondi e la musica a 432 Hz.
Non che siano inutili, certi strumenti. Lo yoga mi ha insegnato ad ascoltarmi, la meditazione a rimanere nel qui e ora e la musica calmante la uso preventivamente quando sento che sta per arrivare l’attacco di panico. Il fatto è che un cervello ADHD è costantemente alla ricerca di stimoli e davvero fa una fatica enorme a darsi pace. Può allenarsi a essere paziente e adattarsi col masking, ma rimarrà sempre un criceto nella ruota.
Fermare il criceto nella ruota
D’altro canto, il cervello ADHD deve fermarsi: per evitare il meltdown, il burnout e il sovraccarico mentale e sensoriale. Prendersi una pausa è vitale tanto quanto rimanere in movimento. Eppure i tempi odierni prediligono l’affanno all’ozio, la performance alla qualità della vita. Il lavoro allo spazio per sé. Al punto che staccare diventa un lusso, se non motivo di vergogna, in certi ambienti lavorativi. “Sono in vacanza, ma posso rispondere alle mail” è una frase che avrò sentito decine di volte nell’ultima decade. E se fino a a 15 anni fa ritenevo la reperibilità non pagata un dovere imprescindibile, ora credo fermamente sia pura follia.
Cosa succede quando ti fermi?
In realtà non molto. Succede che non ti perdi niente, se non il tempo che non ti stai godendo perché sei troppo concentrata a fare e pensare cose.
Il tutto per dire che adesso, quando dico che stacco, stacco sul serio. Non rispondo alle mail, ai messaggi, men che meno alle chiamate. La settimana scorsa sono stata in vacanza: non sono riuscita a fare il detox digitale totale che speravo, ma ci sono andata molto vicino. Se non altro ho fermato la testa, e quando il mio cervello chiedeva dosi di dopamina lo quietavo con un chewing gum alla fragola o un po’ di musica. Ho mangiato, bevuto, riso, osservato la gente, scoperto, camminato. Ho letto un libro che non fosse un saggio, wow.
Non ho avuto attacchi di panico né ansia, nessun sintomo da sindrome da rientro ha fatto capolino. Ancora non me ne capacito. Ho pensato a lungo a questa specie di miracolo personale e sono arrivata a una conclusione piuttosto banale: ho allenato il muscolo del fancazzismo. Ho smesso di subire gli stop imposti dai miei meltdown e ho iniziato a programmare seriamente anche l’ozio. Che non è mai ozio vero, per lo meno non come lo intende un cervello neurotipico, ma uno spazio pensato, desiderato, non caricato di aspettative o pretese.
Ho smesso di portarmi in vacanza 5 libri, svariate riviste e le parole crociate, perché tanto so che non avrò il tempo di fare tutto o inizierò a leggere di tutto un po’ senza finire niente. Ho stabilito dei limiti che neanche i miei figli possono oltrepassare: ogni giorno, per almeno un’ora, sono mia e basta. Le vacanze prevedono 24 ore al giorno insieme, un’ora per sé stessi mi sembra il minimo sindacale.
Ho imparato ad ascoltare il mio corpo: di solito succede che quando stacchi arriva la stanchezza tutta d’un colpo e senza sconti. Ecco, assecondarla è un’ottima idea. Del tipo che in queste vacanze avrei dovuto camminare, rassodare i glutei e le braccia, andare in bicicletta, ma i primi giorni non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto ed è andata bene così.
Ho resistito all’impulso di comprare libri che non avrei mai letto o souvenir per tuttə, di andare al cinema a vedere l’ultimo film o di organizzare più di un’attività al giorno. Che non ho fatto mezza chiamata l’ho già detto? Neanche alle mie amiche, nemmeno a mia mamma, che sapevo si sarebbe offesa a morte. Sapevo che dopo qualche giorno le sarebbe passato: non pretendo più che capisca, ma che rispetti i miei spazi sì.
Prima o poi riuscirò a fare anche un Natale così: isolata dal mondo, senza parenti, incombenze e nevrosi festive. Per ora è un sogno, ma è un sogno su cui posso lavorare. Perché il criceto è un ospite fisso, d’accordo, ma è pur sempre addomesticabile.
🛠️ Tips wow – Strumenti: consigli di viaggio
Per chi è ADHD viaggiare può trasformarsi in un girone infernale. Tra attese, imprevisti, luoghi affollati e stanchezza accumulata, anche un andata e ritorno per Roma può essere sfiancante.
Prima di fare la giornalista, ho lavorato come agente di viaggio per oltre una decade e mi è rimasta una fastidiosa forma di deformazione professionale che applico su parenti e amici organizzando viaggi. Ecco i miei consigli non richiesti:
Prenota prima. Molto prima. Anche da un anno all’altro. La classica reazione ADHD è tipo: figurati se so da qui all’anno prossimo cosa farò! Beh, intanto fatti un viaggio. Qualsiasi cosa accadrà, tu hai prenotato. I vantaggi sono essenzialmente due: economici, perché chi prenota prima risparmia, e organizzativi, perché mettere in calendario una vacanza aiuta il tuo cervello ad avere un obiettivo prefissato.
Informati sulla destinazione con anticipo. Studia itinerari, compra delle guide e prenota con anticipo le visite guidate. Se no rischi di spostare voli e cancellare hotel perché sei arrivata tardi a prenotare gli Studios di Harry Potter (sì, mi è successo sul serio).
Organizza la valigia. Inizia una settimana prima scrivendo la lista di quello che ti serve, fissa una data in agenda in cui iniziare e stabilisci di chiudere la valigia almeno il giorno prima della partenza. Eviterai partenze rocambolesche o dimenticanze fatali. E ricordati i documenti, perché se ti presenti senza all’aeroporto col cavolo che ti fanno partire (almeno questo è successo a dei miei clienti e non a me).
Viaggiare comodə deve essere una priorità, pena il rischio di avere strematə a destinazione: se puoi investi in business class quando possibile, scelta dei posti in treno per evitare di ritrovarti in mezzo a famiglie urlanti, segnalazione di camere in zona tranquilla.
Isolati quando è tutto troppo: con cuffie anti rumore, mascherine, tappi per le orecchie, musica. Non devi per forza parlare col tuo compagno di viaggio, prenditi degli spazi di silenzio e solitudine.
Non devi adeguarti per forza: comunica a chi viaggia con te che sei neurodivergente e che potresti avere delle esigenze diverse. Viaggiare deve essere un piacere per tuttə.
📖 Dizionario divergente
Ogni settimana scegliamo una parola che racconta il mondo Atipiche.
Meltdown: episodio che si manifesta nelle persone neurodivergenti quando sopraggiunge un sovraccarico emotivo, cognitivo e sensoriale. Sono letteralmente delle esplosioni intense e improvvise, impossibili da controllare, le cui cause sono molteplici: stimoli sensoriali, stress, luoghi affollati, socialità imposta, cambi di routine, eventi stressanti.
Grazie per aver letto fin qui, a venerdì prossimo!
Un abbraccio
Anna
Ah la valigia! Ho avuto meno problemi del solito: mi sono fatta consigliare da chatGPT perché volevo viaggiare leggera. Ho inserito il meteo, ciò che dovevo fare e infatti la valigia è perfetta. Peccato che non ci siano 21 gradi massimo 23 ma 31 e che alcuni piani siano saltati per vari dolori di schiena e collo. Meglio partire con l’intera casa! La prossima volta inserirò anche tutte le variabili del caso. 😂😂😂anzi mi farò fare uno scenario probabilistico di ciò che può accadere.
Una volta ho fatto la valigia 1 settimana prima: "Non mi ridurrò all'ultimo anche stavolta!". Mio figlio aveva 6 anni e partiva in aereo da solo (con hostess) dai nonni. Sono arrivata in aeroporto con lui, ho aperto il bagagliaio dell'auto e ho visto chiaramente la valigia davanti alla scarpiera all'ingresso di casa. Da quasi 1 settimana.
Io mi sono arresa: le cose si fanno all'ultimo. Con ansia, si, ma almeno si fanno.