Una vita da ADHD (e un anno di diagnosi)
Così inizia il viaggio alla scoperta di noi stesse attraverso la lente della neurodivergenza
Un anno fa oggi, ricevevo la diagnosi ADHD di tipo combinato. Per chi non avesse dimestichezza con le neurodivergenze, l’ADHD è una condizione che i manuali di psichiatria definiscono come disturbo da deficit attentivo e si suddivide in tre tipi:
disattento
iperattivo-impulsivo
combinato, che include tutte le peculiarità di tale disturbo.
Io le ho tutte e tre, anche se non si direbbe.
In 45 anni sono riuscita a costruirmi un’impalcatura di strategie e adattamenti invidiabile. Sono riuscita a inserirmi negli schemi sociali con successo: un lavoro, relazioni sociali che reggono al tempo e agli eventi, un matrimonio felice, due figli e pure un cane.
Chi mi conosce di persona non lo direbbe mai, che sono ADHD di tipo combinato: sono tranquilla, apparentemente “normale”, discretamente socievole. Però, appunto, solo in apparenza. L’impalcatura che con fatica avevo costruito – e persino arredato egregiamente – ha iniziato a sgretolarsi un pezzo alla volta e, per quanto le fondamenta fossero solide, il rischio che rimanessero solo macerie era reale e angosciante.
Chi, come me, ha avuto una diagnosi ADHD in età adulta sa che non c’è un momento preciso in cui crolla tutto, ma una consapevolezza latente che a un certo punto diventa impellenza: cosa c’è che non va? Cosa non funziona?
Nel mio caso l’impellenza è arrivata dopo quasi una decade di attacchi di panico e ansia patologica, nonostante anni di psicoterapia e farmaci antidepressivi. Era evidente che qualcosa non funzionasse, ma non sapevo dire cosa. Ci ho messo un anno a decidermi di fare la valutazione: un anno di letture sparse, profili social di persone ADHD e “sentito dire”.
La sintomatologia ADHD mi sembrava così varia e pretestuosa da impedirmi di dare il giusto valore a quello che provavo e sentivo io. Vabbè, chi non dimentica la qualunque quando esce di casa? Chi non ha mai provato a ritrovarsi in una stanza senza sapere il perché? Chi riesce a stare seduta ore senza dimenarsi sulla sedia? Mi chiedevo.
La banalizzazione del “siamo tutti un po’ ADHD” la capisco, perché ha contagiato anche me, per lo meno all’inizio. Poi, quando si va ad approfondire, si capisce che banalizzare è molto pericoloso e continua a minimizzare la realtà che ci circonda: le persone ADHD sono circa il 4% della popolazione mondiale, con dati molto diversi da paese a paese. In Italia, per dire, l’incidenza varia dal 2,8% al 7,3% degli adulti tra i 18 e i 44 anni. Stiamo parlando di milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali non sanno di essere neurodivergenti. Io ero tra quelle.
Arrivare a una diagnosi non è per niente facile. Ne parleremo, qui su Atipiche, di quanto l’ADHD assomigli più a una peregrinazione che a un viaggio. La valutazione diagnostica è uno dei primi passi da fare. Perché sul fatto che sia da fare non ci sono dubbi. Anche se la tua migliore amica ti dice che non serve a niente o tua mamma la sminuisce come se fosse una boutade adolescenziale: se hai il dubbio, fai la valutazione con unə espertə.
La domanda più sconcertante - e più frequente - che mi è stata rivolta in questo anno di consapevolezza neurodivergente è stata: “Perché hai fatto la valutazione? Che bisogno c’era?”.
Non avrei mai immaginato che comunicare la mia diagnosi potesse suscitare reazioni tanto contrastanti. Tra chi mi ha supportata e chi l’ha considerata l’ennesimo modo per complicarmi la vita, c’è stata anche l’insinuazione della psicologa dell’epoca: non è che saperlo ti ha fatto più male che bene? Ora, se una reazione scomposta posso aspettarmela dalla cerchia stretta di parenti e amici, convincere la mia terapeuta sulla bontà delle mie intenzioni e della diagnosi mi è sembrato un filo troppo. E ho capito che sul tema c’è un’enorme diffidenza mista a rifiuto. Come sempre, quello che non si conosce fa paura.
Spoiler: no, non ho preso bene la diagnosi, eppure ha cambiato in meglio la mia vita. E non sto usando iperboli: l’ha davvero trasformata. Non è stato un anno facile. Sono stati mesi di studio, psicoeducazione, crisi esistenziali, oggetti persi e appuntamenti dimenticati. E sull’ADHD si sa davvero poco. Da qui la necessità di informare, creare cultura sul tema e uno spazio dove accendere connessioni.
Così è nata Atipiche, un progetto creato da me e mio marito – l’uomo più ADHD che io conosca -, finanziato dall’illuminato Diego Odello – l’unico a dare credito a due ADHD disfunzionali su un sacco di aspetti – e ospitato da Slow News.
Perché la peregrinazione mia è stata la stessa di mio marito, che dopo di me ha ricevuto la stessa diagnosi e con cui ho deciso di progettare questa newsletter. La peregrinazione è anche quella di chi ha a che fare con persone ADHD quotidianamente, di coloro che non sanno di essere neurodivergenti e soffrono senza sapere perché, di tutte quelle persone - e sono tante, troppe - che hanno ricevuto diagnosi sbagliate e continuano a stare male.
Atipiche è per voi, per noi, per chi avrà il coraggio di andare oltre agli stereotipi e ai limiti.
Da persona neurodivergente seguiroʻ con gioia le vostre uscite! Da illustratrice neurodivergente, peroʻ, mi spiace davvero che all'interno di un progetto come Slow News si scelga di corredare un contenuto così significativo con le immagini generate tramite midjourney, un'ai generativa costruita sullo scraping senza consenso delle immagini realizzate da artisti e artiste per generare immagini che non rafforzano il contenuto del testo, semmai lo indeboliscono.